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Enrica Leone

Docente e scrittrice

La memoria è un tempo presente

Le celebrazioni, le commemorazioni, tutte le ritualità collettive che costellano le nostre piccole vite, servono, ci servono per rendere le stesse meno piccole e miserabili. E forse più accettabili. Servono questi momenti per rendere tollerabile il nostro essere finiti, destinati alla morte. Eppure le tante possibilità che il calendario civile ci offre per ricordare e riflettere, per scegliere un modo diverso e magari giusto di stare al mondo, non hanno sortito effetti incoraggianti. Il 23 maggio di ormai 29 anni fa morivano, fatti esplodere col tritolo nei pressi dell’uscita autostradale di Capaci, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. La mafia diceva chiaramente allo Stato che poteva tutto, anche uccidere un giudice con sua moglie e la sua scorta in pieno giorno. E lo Stato? Come ha risposto? A che punto è la lotta alla criminalità organizzata in questo Paese? La strage di Capaci sconvolse il mondo e poco tempo dopo fu seguita da quella di via D’Amelio, contro il giudice Paolo Borsellino. Da allora il 23 maggio è stata dichiarata Giornata della legalità, un giorno in cui ricordare dovrebbe voler dire fare la cosa giusta. Ogni anno le iniziative della società civile in questo senso sono numerose e interessanti, come la famosa nave della legalità che, prima della forzata interruzione dovuta alla pandemia, portava gli studenti di varie scuole d’Italia a scoprire Palermo e i luoghi della vita e della morte di Falcone e Borsellino. Le manifestazioni hanno tutte lo scopo dichiarato di promuovere una cultura della legalità, ovvero educare le nuove generazioni al rispetto delle regole e contrastare ogni forma di abuso o sopraffazione. È tutto molto bello, fa sentire bene la ritualità. Tuttavia la legalità non si celebra, si pratica, si promuove non solo nel giorno dei morti, secondo il noto verso ognuno adda fa questa crianza, ma sempre e a tutti i livelli della società, in primis la legalità dovrebbe abitare le istituzioni, dall’ultimo comune italiano fino a Palazzo Chigi. La legalità non può convivere col compromesso, non fa sconti a nessuno, pretende onestà coerente e viva, non un bel discorso nei giorni comandati. La legalità non è retorica, ma sostanza che fa la differenza tra la vita e la morte in alcuni casi. Fa la differenza tra giustizia e ingiustizia, sempre. A 29 anni da quella tragica e impietosa immagine di Capaci, la lotta alla mafia segna un netto vantaggio per quest’ultima. Nella celebrazione odierna tenutasi a Palermo, il presidente Mattarella ha detto esplicitamente “O si sta contro la mafia o si è complici, non ci sono alternative”, “La mafia esiste ancora e lo Stato sia vigile”, eppure il governo da lui voluto sta approvando in queste ore il cosiddetto codice appalti, nel quale si rende possibile subappaltare al massimo ribasso le commesse pubbliche. Detto in termini più prosaici si rende gioco facile a chi vuole lucrare senza vincoli di sorta, né sulla tutela ambientale né sulla sicurezza. Falcone diceva che per sconfiggere la mafia bisognava seguire la traccia dei soldi e dunque, per rendere il lavoro dei magistrati più divertente, i migliori al governo hanno creato questa nuova versione delle gioco delle scatole cinesi. Il nostro Presidente ha parlato oggi dall’aula bunker di Palermo, l’aula che ha visto condannare i capi di cosa nostra, senza che il potere della mafia risulti oggi in qualche modo scalfito. Questo accade perché il legame profondo e comprovato tra mafia e potere politico è strutturato e purtroppo tollerato. In Italia ci sono numerosi comuni commissariati, tanti politici locali e nazionali coinvolti in vicende poco chiare che tali rimarranno, confidando nella scarsa memoria popolare. Perché se è vero che abbiamo un calendario civile ricco e variegato, è vero pure che il ricordo dura il tempo di un discorso o di un tweet, la memoria non diventa quel tempo presente che nutre la nostra coscienza, individuale e collettiva. La memoria non è un momento, ma l’eterno ritorno di ciò che scegliamo come parte necessaria delle nostre esistenze. Le celebrazioni, i discorsi, le commemorazioni prive di questo sentimento attivo della memoria sono solo l’ennesima buffonata che i morti non li onora, ma li fa indignare pure dentro la tomba, dove sono finiti spesso per la nostra colpevole indifferenza.
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