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Racconti Resistenti

Enrica Leone

Una giornata normale
Atto I

«S’hann fatt’ o’ marit r’a signora Angelina!”» esclamò mia madre svegliandomi.
«Comm’è s’hann fatt? Che vuoi dire?» feci questa domanda sapendo già che lei, con quella espressione tentava di mascherare la brutalità di un termine ormai comune, omicidio.

Infatti non rispose e al solito cambiò argomento: «Nenne’ alzati, vedi di muoverti che la fatica non ti aspetta!» e mi portò la tazzina di caffè al letto. Lo sapevo che non mi avrebbe risposto, quello era il suo modo di tenere fuori dalla nostra vita semplice una realtà che, appena chiudevi la porta, ti rientrava dalla finestra o da una senga, ma comunque si infizzava per forza. 

Quella mattina mamma si era affacciata per stendere i panni e di sotto si era trovata il corpo steso faccia all’aria e buco in fronte di don Antonio. Si era guardata negli occhi con le signore vicine che già cominciavano dal balcone la litania, e senza parlare era rientrata. Da lontano si sentivano le sirene delle volanti arrivare in rappresenatnza di quello Stato che da queste parti viene sempre troppo tardi. L’avevo vista dal letto mentre si asciugava le lacrime, ma so che mia madre non vuole farsi compiadire e perciò faccio finta di niente. Cominciava così una nuova giornata! 

La nostra casa è tutta concentrata: nella cucina c’è un comodo divano che la sera diventa letto. Mamma si alza sempre un quarto d’ora prima e mi fa il caffè, così con l’odore mi sveglio. E anche stamattina mi bevo il mio caffè e mi alzo. In casa siamo sole da quando la buonanima della nonna è morta un anno fa. Papà se ne è andato da quasi dieci anni con la zoccola dirimpetto. Da allora io e le mie femmine stavamo sole e stavamo bene. Abitiamo a via Tribunali, nel cuore della città, il centro storico lo chiamano, per me è il mio quartiere, la mia gente. A lavorare vado a via Toledo, ma tutti a Napoli la chiamano via Roma, quella dei negozi dove c’è sempre un sacco di gente. Io sto nel magazzino della signora Lucia, un negozio di intimo particolare dove per una mautanda spendi pure 100 euro.

Sono ormai due anni che tutte le mattine vado lì, è una bella passeggiata, attraverso il cuore della città, saluto le mie compagne lungo la strada, mi prendo un altro caffè al bar prima di attaccare e mi guardo la vetrina della Feltrinelli. I libri mi piacciono, me li leggo la sera, e mi piaceva pure la scuola, ma più della qualifica di segretaria d’azienda non ho potuto fare, mio padre se ne era andato e a casa servivano i soldi.

Così eccola la mia giornata, in una città piena di sole, con un lavoro sistemato, anche se a nero (“Il contratto te lo devi guadagnare”, mi disse la signora Lucia prima di cominciare, e aveva ragione, che ne sapeva se ero brava). Solo che ogni giorno di più in questa normalità entrano pensieri strani, che prima non tenevo, e che fanno paura. “Se stavo giù quando hanno sparato a don Antonio, che succedeva? Se mia madre faceva la spesa nella salumeria della signora Carmela quando hanno fatto la rapina, mò era ancora viva?”.

Quando ero piccola mi fidavo assai delle mie strade, dei vicoli dove giocavo, ora so che mi devo stare accorta sempre, che può succedere di tutto a chiunque e dovunque. Ogni volta che si sentiva di un morto ammazzato a Napoli, mia nonna ripeteva: «Chi va per questi mari, questi pesci prende», e io mi sentivo tranquilla perchè lei mi accarezzava la testa e con quel gesto mi diceva che noi non avevamo niente da temere perchè niente facevamo. Noi per quel mare non ci eravamo mai volute andare. Oggi non è così, o forse io non ci credo più perchè a me in questo mare certe volte mi sembra di affogare e dall’ansia mi manca l’aria. Alle mie compagne quando usciamo la sera non glielo dico, ma sto sempre con una cosa in corpo, come se da un momento all’altro... mi fermo, scaccio via i pensieri e mi dico che la paura è un lusso che non mi posso permettere.
Così stamattina mi preparo e scendo per lavorare. Giù al palazzo il morto è già stato coperto, non chiedo nulla, faccio il segno della croce e mi faccio largo tra la folla. Tanto so che quando porteremo zucchero e caffè dalla signora Angelina ci sarà raccontato tutto fin nei minimi particolari. È così che si diventa eroi da queste parti. Mentre mi incammino incrocio il viso di un poliziotto, giovane e carino. A differenza dei colleghi, mi sembra più schifato dallo spettacolo e perciò mi fa tenerezza. Sicuramente verrà da fuori e cose del genere gli fanno ancora troppo male. Ci guardiamo un attimo e penso che in una città normale, in una giornata normale, forse ci saremo parlati e conosciuti e chissà... ma è tardi e devo andare a lavoro, per il nuovo anno che si avvicina la signora Lucia mi promesso il contratto, avrò una busta paga di 800 euro, anche se ne prendo 500, e i contributi. Per ora questo è l’unico sogno che mi posso permettere.
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